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MI CHIAMANO BOTTA CONTINUA: I PECCATI DI PROVINCIA DI RENZO MONTAGNANI

"Tutti mi chiedono se, a furia di filmacci, io non mi senta un incompreso. Ma
no. Il nostro è un mestiere, niente di più. Se uno fa il meccanico, cerca di
farlo al meglio, poi diventa motorista della Ferrari. Io studio da
motorista"
"Una donna nuda, sul set, è difficile che io la tocchi. Quando la
situazione, davanti alla macchina da presa, rischia di farsi pesante, cerco
sempre di sdrammatizzare, butto là una battuta, tipo 'che bei pettorali, giocavi
a pallanuoto?'"
"Dopo le cinque settimane di lavorazione di Il
ginecologo della mutua avevo visto e sfiorato tante di quelle belle donne
svestite che non ne potevo più. Mi sentivo di incerto sesso, la mia sessualità
era scivolata nel neutro"
"Mi hanno anche definito 'attore da bordello' ma
io, come si dice a Firenze, 'gli vo' in culo'"



Nessuno vanta una carriera più emblematicamente ondivaga e pilotata dalle disavventure familiari di quella di Renzo Montagnani, attore in grado di passare con disinvoltura e dignità da Pirandello a Pingitore, dalle assi di un palcoscenico a quelle, assai meno nobili, di un wc. Lungi da alimentare una singolare schizofrenia professionale, cinema e teatro hanno invece contribuito a completare il corredo umano e artistico dell'attore, il primo rivelandone la travolgente vis comica e libertina, il secondo portandone alla ribalta un talento cospicuo quanto sottovalutato.
Renzo Montagnani nasce ("per sbaglio", come sottolineò più volte) ad Alessandria l'11 settembre 1930 da una famiglia di antichissime origini fiorentine; nel capoluogo toscano compie la scuola dell'obbligo, frequenta il liceo e si iscrive alla facoltà di Farmacia. E' proprio nell'ambiente universitario che si accosta al teatro: tra i suoi compagni di allora Beppe Menegatti, futuro regista, Ilaria Occhini e Ferruccio Soleri.
Lasciata Firenze per Milano dopo aver conseguito la laurea, intorno alla metà degli Anni 50, Montagnani esordisce nella rivista, prima nella compagnia di Viarisio e poi in quella di Macario. Nel 1959 fa il suo ingresso ufficiale nella prosa, interpretando nel capoluogo lombardo I sogni muoiono all'alba, di Indro Montanelli, dal quale nove anni dopo viene tratto un film in cui egli stesso è protagonista. Altri lavori di quel periodo sono Marescalco dell'Aretino e una commedia di Bracco. Nel 1963 è allo Stabile di Trieste, dove interpreta Un uomo è un uomo di Brecht, L'augellin belverde di Carlo Gozzi e Vera Werk di Fulvio Tomizza.



A questo punto Montagnani si trasferisce a Roma in cerca del copione che gli permetta di mettere in luce le sue qualità interpretative: il successo, inseguito con tenacia per dieci anni, infine gli arride, e con esso l'attestato di attore di razza, anche senza aver conseguito quello dell'Accademia di Arte drammatica, unico cruccio della sua carriera. I lavori di questo periodo sono: Vestire gli ignudi di Pirandello (intorno al '66), per la regia di Patroni Griffi, Ti ho sposato per allegria, diretto da Luciano Salce. Sulla scia di questi successi cominciano ad arrivargli le prime proposte televisive; ma se per quello che riguarda la sua attività teatrale Roma ha segnato l'inizio di un periodo felice, non è così per la tv: pur interpretando diversi lavori, alcuni dei quali in ruoli brillanti, non acquista molta popolarità presso il grande pubblico. L'incontro con Valeria Moriconi (conosciuta sul set televisivo di Santa Giovanna) e l'ottimo affiatamento sperimentato con quest'ultima lo spingono ad entrare nella Compagnia dei Quattro (a fianco di Enriquez, Luzzati e, appunto, della Moriconi): per tre anni, dal 1968 al 1970, Montagnani si dedica anima e corpo al nuovo progetto artistico, portando in scena Le mosche di Sartre, La Dame di Chez−Maxim di Feydeau, L'assoluto naturale di Goffredo Parise. Sciolta la Compagnia dei Quattro torna a lavorare per la televisione e questa volta per ruoli di un certo impegno: è il protagonista ne Il crogiuolo di Miller per la regia di Bolchi, e nel Dialogo della Ginzburg, per il quale riceve il Premio Argentina nel 1971. Al grosso pubblico, però, si rivela con Milledischi, una trasmissione nella quale illustra le più recenti novità discografiche di musica leggera e classica, e, soprattutto, con Come un uragano, un giallo a puntate diretto da Silverio Blasi. La notorietà televisiva gli schiude definitivamente le porte del cinema, nel quale aveva esordito nel 1966 con Viaggi
di nozze all'italiana, di Mario Amendola; al grande schermo Montagnani porterà in dote, nell'arco di una carriera ultraventennale, fisicità ("occhi scuri molto intelligenti, baffi, fisico un po' tozzo ma liscio e affabile come quello di una foca", Masolino D'Amico, La Stampa, 24−5−97) e temperamento ("malinconia, umorismo, un pessimismo tranquillo ma non rassegnato", ibid.).
L'incontro con il lato ancora non troppo oscuro della commedia all'italiana avviene nel 1970 con Quando le donne avevano la coda, pellicola sexy−cavernicola diretta da Pasquale Festa Campanile e ideata nientemeno che da Umberto Eco (!). Montagnani è Maluc, un primitivo che contende le grazie di Senta Berger ai "colleghi di clava" Giuliano Gemma, Lando Buzzanca, Aldo Giuffrè, Lino Toffolo e Francesco Mulè. Notevole la Berger con la coda e il cast maschile, ma il fin troppo controllato Festa Campanile fa rimpiangere la vena scatologico−dissacratoria di un Nando Cicero. Il personaggio si tinge di sfumature fanciullesche, edipiche − pronte però ad essere subito superate davanti ai glutei carnosi della Fenech −, e cerca di camuffare la propria profonda insoddisfazione, non solo di natura sessuale, ricorrendo a una marzialità intransigente quanto goffa e coatta, dagli involontari risvolti comici: è allora che l'uomo si fa pavido, e il seduttore lascia il campo all'imbelle. Sempre nello stesso anno, Montagnani è un industriale del Nord con la psicosi dei rapimenti nello "scolastico" L'insegnante va in collegio, del fido Laurenti, due anni prima di diventare un insegnante di educazione fisica fanatico e bersagliato dagli scherzi degli allievi nella pellicola di Giuliano Carnimeo L'insegnante balla con tutta la classe. Nel mezzo, è protagonista di una strampalata farsa horror ispirata agli zombi di George A. Romero, Io zombo, tu zombi, lei zomba (1979), di Nello Rossati, e del ben più riuscito Dove vai se il vizietto non ce l'hai? (1979), di Franco Martinelli (alias Marino Girolami), dove non gli viene risparmiata − come già peraltro accaduto ne "Il vizio di famiglia" − la più ovvia nemesi cinematografica: il ruolo del (finto) omosessuale, che lo costringe a sopprimere ogni pulsione erotica, con esiti comici esilaranti. Film dopo film, Montagnani crea e perfeziona un personaggio unico, carismatico, catalizzatore di comicità travolgente; inventa tormentoni linguistici elementari ma irresistibili, frutto di un'originale mistura di onomatopee, colorite volgarità e ricercate similitudini erotiche da impenitente "mandrillo" di provincia.
Talora, la sua brama sessuale viene mortificata, come in La moglie in vacanza... l'amante in città
(1980), di Sergio Martino, dove, con il pene congelato, finisce per perdere sia le grazie della Fenech che quelle della Bouchet. Prevedibili incidenti di percorso, che il Nostro sa comunque superare con la riottosa esuberanza ereditata dalla terra di Toscana, stemperata nella goliardia dal retrogusto dolceamaro dei due episodi di Amici miei (1982, regia di Mario Monicelli, e 1985, regia di Nanny Loy), dove, nei panni del turbolento Necchi, sostituisce Duilio Del Prete (nel primo aveva invece doppiato Philippe Noiret).
La parabola umana e artistica di Renzo Montagnani è stata esemplare: sempre consapevole del modesto livello artistico dei film chiamato a vivificare, non li ha mai sconfessati, né tanto meno disprezzati a posteriori, come altri suoi illustri colleghi. Uomo generoso e ricco di profonda umanità, Montagnani ha scelto nella vita l'ironia e il disincanto dolceamaro dei suoi personaggi, depurandoli solo di ogni eccesso triviale, e l'amarezza per una carriera cinematografica avara di gratificazioni non è mai sfociata in livore. Nell'ultima intervista rilasciata, a Milano nel marzo del 1996, alla rivista "Amarcord", Montagnani confessa di reputarsi un buono artigiano della recitazione, un uomo che ha interpretato con la stessa energia Shakespeare e la commedia sexy. E di questo bisogna rendergli merito. La morte lo coglie nella sua abitazione romana, il 23 maggio del 1997, vittima di una malattia incurabile. Il cinema italiano non si è mai reso conto della gravità di una tale perdita.

Commenti

Anonimo ha detto…
También buena "Il vizio di famiglia", 1975
enrico c ha detto…
lo adorooooooo

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