Uwe Boll, il regista più odiato e sbertucciato del mondo, è tornato per la gioia dei suoi affezionati detrattori, forumfiliaci e bloggernauti in prima fila. Il popolo del web è uno strenuo detrattore del 43enne di Wermelskirchen, e non perde occasione per tentare di dimostrare al mondo intero che il suddetto è il peggiore sulla faccia della Terra. Della serie: Non abbiamo altro di meglio da fare, e se lo avessimo non lo faremmo…
Non entriamo nel merito di questa infantile provocazione: Herr Boll non ha mai fatto mistero di amare la dialettica e l’estetica dei videogiochi per motivi esclusivamente commerciali (sono così popolari da costituire un efficace, e gratuito, veicolo pubblicitario per il film) e la sua scelta di adattarli, rielaborandoli, per il grande schermo non viola ancora alcun articolo di alcuna Costituzione. Fino a quando sarà in grado di finanziare e girare film – che per inciso non recano danno alcuno, è sufficiente non vederli – , avremo la consapevolezza che la Settima Arte mantiene libero l’accesso, nel bene e nel male.
Per effetto di quanto scritto, “Postal” non costituisce eccezione (né reato): esso è infatti (molto liberamente) ispirato a Postal 2, “sparatutto in prima persona, bidimensionale con visione isometrica” messo in commercio nel 2003 dalla Running With Scissors come séguito del primo Postal (che, per inciso, era in terza persona…), uscito nel novembre 1997.
Il regista tedesco ha scelto un classico videogioco - un uomo comune perde eufemisticamente le staffe e decide di commettere una strage (la traduzione dell’espressione gergale “going postal”) - e lo ha trasformato in un film satirico-demenziale ad alzo zero, scorretto, violento e assolutamente irriguardoso. Facendo leva sul proverbiale german touch (che previene l’insorgere di ogni forma di sottigliezza e di sfumatura), il buon Uwe non prende prigionieri fin dal prologo, nel quale due dirottatori arabi decidono di rinunciare a schiantarsi contro una Torre Gemella perché in disaccordo con Bin Laden circa il numero di vergini promesse loro nell’Aldilà, ma finiscono per compiere involontariamente la missione per l’incauta irruzione in cabina di alcuni passeggeri .
Boll stesso dimostra più senso dell’umorismo dei suoi denigratori ritagliandosi un gustoso cameo nel ruolo del proprietario di Little Germany, un parco giochi tematico fulcro dell’azione: agghindato con un ridicolo costume simil-bavarese, prima confessa che i suoi film sono finanziati con l’oro nazista, poi subisce l’aggressione dell’inviperito creatore del videgioco Postal, con il quale improvvisa un match di pugilato¹, infine, colpito dal suddetto con un colpo di arma da fuoco nelle parti basse, muore esclamando: “Odio i videogiochi!”.
La pellicola non risparmia sferzate impietose alla competitività feroce della società americana, alla brutalità xenofoba della polizia, alle grottesche mistificazioni dei movimenti pseudoreligiosi, al bieco sciacallaggio dei mass-media, ma soprattutto ai rapporti di interesse reciproco che legavano il presidente Bush a Osama Bin Laden. Inarrestabile e inconciliabile, Boll demolisce anche le colonne d’Ercole della deontologia registica filmando l’infilmabile: l’uccisione di svariati bambini, crivellati di colpi senza pietà (e falsi pudori).
Pur con i suoi innegabili difetti – il ritmo talvolta perde colpi e le gag vi si adeguano -, “Postal” mantiene senza omissis le premesse, e affonda i canini nei resti di una nazione che non ha ancora smesso di dilaniare se stessa: memorabile e agghiacciante la scena finale in cui Bush, dopo essersi rivolto a Bin Laden con la battuta finale pronunciata da Bogart all’indirizzo del capitano francese in “Casablanca” (“credo che questo sia l'inizio di una bella amicizia”), corre spensierato in un prato con il leader di Al Qaeda mentre tutt’intorno cominciano ad esplodere le atomiche cinesi e indiane..
¹ E’ chiaro il riferimento alla sfida lanciata nel 2006 da Boll stesso ai suoi critici più irriducibili, sfidati a misurarsi su un ring a Vancouver, in Canada.
Non entriamo nel merito di questa infantile provocazione: Herr Boll non ha mai fatto mistero di amare la dialettica e l’estetica dei videogiochi per motivi esclusivamente commerciali (sono così popolari da costituire un efficace, e gratuito, veicolo pubblicitario per il film) e la sua scelta di adattarli, rielaborandoli, per il grande schermo non viola ancora alcun articolo di alcuna Costituzione. Fino a quando sarà in grado di finanziare e girare film – che per inciso non recano danno alcuno, è sufficiente non vederli – , avremo la consapevolezza che la Settima Arte mantiene libero l’accesso, nel bene e nel male.
Per effetto di quanto scritto, “Postal” non costituisce eccezione (né reato): esso è infatti (molto liberamente) ispirato a Postal 2, “sparatutto in prima persona, bidimensionale con visione isometrica” messo in commercio nel 2003 dalla Running With Scissors come séguito del primo Postal (che, per inciso, era in terza persona…), uscito nel novembre 1997.
Il regista tedesco ha scelto un classico videogioco - un uomo comune perde eufemisticamente le staffe e decide di commettere una strage (la traduzione dell’espressione gergale “going postal”) - e lo ha trasformato in un film satirico-demenziale ad alzo zero, scorretto, violento e assolutamente irriguardoso. Facendo leva sul proverbiale german touch (che previene l’insorgere di ogni forma di sottigliezza e di sfumatura), il buon Uwe non prende prigionieri fin dal prologo, nel quale due dirottatori arabi decidono di rinunciare a schiantarsi contro una Torre Gemella perché in disaccordo con Bin Laden circa il numero di vergini promesse loro nell’Aldilà, ma finiscono per compiere involontariamente la missione per l’incauta irruzione in cabina di alcuni passeggeri .
Boll stesso dimostra più senso dell’umorismo dei suoi denigratori ritagliandosi un gustoso cameo nel ruolo del proprietario di Little Germany, un parco giochi tematico fulcro dell’azione: agghindato con un ridicolo costume simil-bavarese, prima confessa che i suoi film sono finanziati con l’oro nazista, poi subisce l’aggressione dell’inviperito creatore del videgioco Postal, con il quale improvvisa un match di pugilato¹, infine, colpito dal suddetto con un colpo di arma da fuoco nelle parti basse, muore esclamando: “Odio i videogiochi!”.
La pellicola non risparmia sferzate impietose alla competitività feroce della società americana, alla brutalità xenofoba della polizia, alle grottesche mistificazioni dei movimenti pseudoreligiosi, al bieco sciacallaggio dei mass-media, ma soprattutto ai rapporti di interesse reciproco che legavano il presidente Bush a Osama Bin Laden. Inarrestabile e inconciliabile, Boll demolisce anche le colonne d’Ercole della deontologia registica filmando l’infilmabile: l’uccisione di svariati bambini, crivellati di colpi senza pietà (e falsi pudori).
Pur con i suoi innegabili difetti – il ritmo talvolta perde colpi e le gag vi si adeguano -, “Postal” mantiene senza omissis le premesse, e affonda i canini nei resti di una nazione che non ha ancora smesso di dilaniare se stessa: memorabile e agghiacciante la scena finale in cui Bush, dopo essersi rivolto a Bin Laden con la battuta finale pronunciata da Bogart all’indirizzo del capitano francese in “Casablanca” (“credo che questo sia l'inizio di una bella amicizia”), corre spensierato in un prato con il leader di Al Qaeda mentre tutt’intorno cominciano ad esplodere le atomiche cinesi e indiane..
¹ E’ chiaro il riferimento alla sfida lanciata nel 2006 da Boll stesso ai suoi critici più irriducibili, sfidati a misurarsi su un ring a Vancouver, in Canada.
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