Passa ai contenuti principali

ANOMIA MEDITERRANEA: GOMORRA


Agghiacciante. E’ questo l’aggettivo più calzante per descrivere l’ultimo film di Matteo Garrone, protagonista con “Gomorra” al recente Festival di Cannes (5 minuti di applausi al termine della proiezione). Tratto dall’omonimo libro (agghiacciante pure esso) di Roberto Saviano, la pellicola si pone a cavallo di un ideale spartiacque tra neo neorealismo e cinéma vérité: attraverso l’alternanza di cinque storie pregne di asciutto verismo, Garrone registra, in maniera quasi entomologica, uno spaccato impressionante di vita di camorra. Evitando accuratamente di descrivere il fenomeno malavitoso con la lente deformante della retorica e del sensazionalismo cronachistico, il regista si limita a seguire i personaggi – quasi tutti interpretati da attori non professionisti con sorprendente e disarmante spontaneità – con rigorosa discrezione, senza reticenze né compiacimenti. L’intento di Garrone e dei suoi collaboratori è quello di mostrare la camorra per quello che è: un’enclave di disumanità in uno Stato di decadente umanità. Per attecchire e prosperare, la camorra ha bisogno di ambienti malsani e degradati, ambienti che lo Stato italiano le regala con efficienza scellerata. Il film ha infatti il suo epicentro in una “vela”, uno di quei “termitai” a forma triangolare assai diffusi nella periferia Nord di Napoli (soprattutto nei quartieri di Secondigliano e Scampìa), un aborto di cemento figlio dell’espansione edilizia in stato confusionale degli Anni 70 e 80. Nelle sue viscere vive e sopravvive una moderna corte dei miracoli dai vaghi accenti lombrosiani; uno degli aspetti più inquietanti mostrati nel film è il ruolo previdenziale, parastatale svolto dalla camorra: il protagonista di una delle cinque storie è infatti un “portasoldi” di mezza età, anonimo, pavido, che distribuisce i soldi agli inquilini della “vela”; si troverà coinvolto, suo malgrado, nella guerra tra “fedeli” e “scissionisti”, intrappolato nella morsa inclemente di un feroce tutti-contro-tutti che non risparmia gli inermi e gli innocenti. Nell’assecondare i sussulti drammatici dei cinque tasselli narrativi, che compongono un puzzle che si vorrebbe lasciare incompiuto ma che è lungi dall’esserlo, Garrone dosa con encomiabile sensibilità i momenti più simbolicamente commoventi, come quando un’anziana contadina, incurante della pioggia, si ostina a vangare la terra mentre dentro casa la famiglia contratta con un sordido faccendiere (un Toni Servillo mellifluo quanto ripugnante) la vendita di un terreno dove seppellire rifiuti tossici per pagare le cure mediche di un congiunto. La terra che un tempo si coltivava con sacrificio adesso si avvelena con indifferenza: se si impilassero i bidoni di rifiuti tossici stoccati abusivamente in Campania si otterrebbe una montagna alta più di 14.000 metri. Questa cifra, riportata con altre sui titoli di coda, rende l’epilogo ancora più amaro e il futuro ancora più fosco.

Commenti

Post popolari in questo blog

BEAUTY FROM THE PAST: KARIN SCHUBERT

BEAUTY FROM THE PAST: ZEUDI ARAYA

MI CHIAMANO BOTTA CONTINUA: I PECCATI DI PROVINCIA DI RENZO MONTAGNANI

"Tutti mi chiedono se, a furia di filmacci, io non mi senta un incompreso. Ma no. Il nostro è un mestiere, niente di più. Se uno fa il meccanico, cerca di farlo al meglio, poi diventa motorista della Ferrari. Io studio da motorista" "Una donna nuda, sul set, è difficile che io la tocchi. Quando la situazione, davanti alla macchina da presa, rischia di farsi pesante, cerco sempre di sdrammatizzare, butto là una battuta, tipo 'che bei pettorali, giocavi a pallanuoto?'" "Dopo le cinque settimane di lavorazione di Il ginecologo della mutua avevo visto e sfiorato tante di quelle belle donne svestite che non ne potevo più. Mi sentivo di incerto sesso, la mia sessualità era scivolata nel neutro" "Mi hanno anche definito 'attore da bordello' ma io, come si dice a Firenze, 'gli vo' in culo'" Nessuno vanta una carriera più emblematicamente ondivaga e pilotata dalle disavventure familiari di quella di Renzo Montagnani, attore in