IL CREPUSCOLO DEGLI ACTION HEROES DEL SECONDO MILLENNIO
Domanda retorica: al cinema gli action heroes sono forse passati di moda? Logori, stanchi e invecchiati, gli eroi del grande schermo dell’ultimo ventennio sembrano condannati a un lento ma inesorabile oblio, primo passo di un (pre)pensionamento coatto sancito anni orsono dal loro (prematuro?) confinamento nei territori marchiati DTV (Direct-To-Video). Banditi in modo irreversibile dalle sale cinematografiche, i nostri “eroi” sopravvivono ai confini del mondo scintillante di Hollywood & dintorni, emarginati ma non per questo rassegnati, decisi ad alimentare comunque i sogni, sbiaditi ma sopravvissuti, di quella generazione di spettatori che ricorda, e talora riguarda, film del calibro di “Lionheart” come di “Nico”, di “Caccia mortale” come di “Trappola in alto mare”.
JEAN-CLAUDE VAN DAMME
La soglia dei 50 anni è ormai vicina, ma “Muscles from Brussels” (questo soprannome non gli è mai piaciuto…) è lungi dal gettare la spugna. Il suo ultimo film distribuito in Italia su grande schermo risale al 2003, “Hell” del dotato ma discontinuo Ringo Lam, un prison-movie molto crudo, fin troppo… recitato ma troppo poco… agitato. La responsabilità di questo progressivo decadimento artistico e commerciale è, ovvio, anche sua: “Derailed” (2002) risulta imbarazzante anche per i fans più devoti. Nell’ultimo lustro il Nostro si è giocoforza dedicato, a onore del vero con profitto, al mercato homevideo, dove è tuttora un pezzo da novanta, realizzando pellicole che hanno messo in risalto le sue qualità recitative, indubbiamente migliorate con gli anni. I risultati? Altalenanti sì, sconfortanti no.
“Wake of Death” (2004), virato in tinte noir, è un’anomalia nella carriera di Van Damme: risente dell’anodina regia del produttore Philippe Martinez (il promettente giamaicano Cess Silvera era stato allontanato dal set dopo due settimane di riprese, dopo che il solito Ringo Lam aveva rinunciato al progetto per divergenze creative), ma l’attore belga, segnato nel volto dagli eccessi dei Novanta ma in forma fisica a dir poco invidiabile, sciorina una prova attoriale di buon livello, forse pungolato dalla presenza del grande attore hongkonghese Simon Yam nel ruolo del villain di turno.
Il successivo sodalizio artistico con il regista britannico Simon Fellows dà frutti acerbi: “Second in Command” (2006) è un action con dosi minime dell’ingrediente principale e un protagonista fin troppo trattenuto, mentre “Until Death” (2007) è decisamente più interessante, con un Van Damme efficace nel tratteggiare un personaggio ambiguo, violento e corrotto prima che un lungo periodo di coma lo restituisca al mondo in una veste più umana. Spunto non originale, certo, ma sviluppato con un discreto ritmo e una buona tenuta melodrammatica. Tra un Fellows-movie e l’altro Van Damme trova il tempo di collaborare per la quarta volta con Sheldon Lettich, artefice in passato di successi del calibro di “Lionheart” e “Double Impact” come del più recente, e meno fortunato, “The Order”. “The Hard Corps” (2006) sancisce il primo incontro tra JCVD e il mondo dei rapper. Ancora una volta, però, l’azione latita, Van Damme si concede con eccessiva parsimonia ai suoi vecchi fans e il plot è fin troppo scarno e prevedibile.
Il 2008 potrebbe rivelarsi una buona annata per gli amanti del Van Damme barricato doc: “The Shepherd – Border Patrol”, diretto dallo specialista Isaac Florentine (artefice nel ’97 del wooiano “High Voltage” con Antonio Sabàto padre e figlio e del recente “Undisputed II” con Michael Jai White) e uscito negli Usa il 4 marzo, ha tutte le carte in regola per riavvicinare anche i più scettici e delusi. Girato in Bulgaria ma ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico (insomma…), il film vede Van Damme alle prese con un cartello della droga guidato da ex soldati americani delle forze speciali. Il Nostro, che si aggira per le strade di Columbus e dintorni portandosi appresso una gabbia con un coniglio che si chiama Jack, come lui (!?), ha una missione da compiere e un lutto familiare da vendicare. Niente di nuovo, ma il ritmo è sostenuto, Florentine si conferma un regista da seguire con attenzione e le coreografie dei corpo a corpo minuziosamente elaborate da J. J. “loco” Perry (già artefice di quelle ammirate in “Undisputed II”) sono di prima qualità, due spanne sopra la media di questo genere di pellicole. In Italia uscirà a breve e (quasi) certamente solo in dvd: vandammiani e vandammiane, sieti avvertiti!
Ma il film che potrebbe imprimere una svolta inaspettata alla carriera dell’attore belga è “JCVD”: girato da Mabrouk El Mechri tra Belgio e Lussemburgo, sancisce l’incontro di Van Damme con la commedia virata in dramma e, udite!, metacinema…
Lo spunto è semplice quanto geniale, come spiega Van Damme stesso in questo stralcio d’intervista riportata dal blog cinemanotizie: “E' senza dubbio il ruolo più importante della mia carriera ed il miglior film che abbia mai fatto. Mabrouk El Mechri con questo film ha fatto per me ciò che Martin Scorsese fece con Robert De Niro molti anni or sono; ha scritto una sceneggiatura su Jean-Claude Van Damme, un tossicodipendente arrestato troppe volte negli Stati Uniti che passa dal successo e dalla gloria al fallimento, lascia gli States per tornare a Bruxelles dai suoi genitori, non ha più denaro e cerca di partecipare a qualunque tipo di film per poter pagare gli avvocati e combattere per la custodia dei suoi figli. In seguito il mio personaggio si ritrova in un ufficio postale proprio durante una rapina: la gente pensa che ne faccia parte anche io e da lì ne verrà fuori un film drammatico sulla falsariga di 'Quel pomeriggio di un giorno da cani'. Interpretare me stesso è stata un'esperienza scioccante, quando l'ho visto per la prima volta un paio di settimane fa sono rimasto sconvolto e non sono stato in grado di lavorare per giorni talmente mi sentivo preso ed emozionato. Dopo 37 film penso sia giunta l'ora di non interpretare più pellicole che non mi piacerebbe davvero vedere. Non ho percepito alcun salario per questo film, penso e spero possa cambiarmi la vita”.
Il film è stato presentato al market del Festival di Cannes appena concluso. La speranza adesso è che qualche distributore italiano illuminato lo compri per la diffusione su grande schermo. In Francia JCVD uscirà nelle sale il 4 giugno...
Domanda retorica: al cinema gli action heroes sono forse passati di moda? Logori, stanchi e invecchiati, gli eroi del grande schermo dell’ultimo ventennio sembrano condannati a un lento ma inesorabile oblio, primo passo di un (pre)pensionamento coatto sancito anni orsono dal loro (prematuro?) confinamento nei territori marchiati DTV (Direct-To-Video). Banditi in modo irreversibile dalle sale cinematografiche, i nostri “eroi” sopravvivono ai confini del mondo scintillante di Hollywood & dintorni, emarginati ma non per questo rassegnati, decisi ad alimentare comunque i sogni, sbiaditi ma sopravvissuti, di quella generazione di spettatori che ricorda, e talora riguarda, film del calibro di “Lionheart” come di “Nico”, di “Caccia mortale” come di “Trappola in alto mare”.
JEAN-CLAUDE VAN DAMME
La soglia dei 50 anni è ormai vicina, ma “Muscles from Brussels” (questo soprannome non gli è mai piaciuto…) è lungi dal gettare la spugna. Il suo ultimo film distribuito in Italia su grande schermo risale al 2003, “Hell” del dotato ma discontinuo Ringo Lam, un prison-movie molto crudo, fin troppo… recitato ma troppo poco… agitato. La responsabilità di questo progressivo decadimento artistico e commerciale è, ovvio, anche sua: “Derailed” (2002) risulta imbarazzante anche per i fans più devoti. Nell’ultimo lustro il Nostro si è giocoforza dedicato, a onore del vero con profitto, al mercato homevideo, dove è tuttora un pezzo da novanta, realizzando pellicole che hanno messo in risalto le sue qualità recitative, indubbiamente migliorate con gli anni. I risultati? Altalenanti sì, sconfortanti no.
“Wake of Death” (2004), virato in tinte noir, è un’anomalia nella carriera di Van Damme: risente dell’anodina regia del produttore Philippe Martinez (il promettente giamaicano Cess Silvera era stato allontanato dal set dopo due settimane di riprese, dopo che il solito Ringo Lam aveva rinunciato al progetto per divergenze creative), ma l’attore belga, segnato nel volto dagli eccessi dei Novanta ma in forma fisica a dir poco invidiabile, sciorina una prova attoriale di buon livello, forse pungolato dalla presenza del grande attore hongkonghese Simon Yam nel ruolo del villain di turno.
Il successivo sodalizio artistico con il regista britannico Simon Fellows dà frutti acerbi: “Second in Command” (2006) è un action con dosi minime dell’ingrediente principale e un protagonista fin troppo trattenuto, mentre “Until Death” (2007) è decisamente più interessante, con un Van Damme efficace nel tratteggiare un personaggio ambiguo, violento e corrotto prima che un lungo periodo di coma lo restituisca al mondo in una veste più umana. Spunto non originale, certo, ma sviluppato con un discreto ritmo e una buona tenuta melodrammatica. Tra un Fellows-movie e l’altro Van Damme trova il tempo di collaborare per la quarta volta con Sheldon Lettich, artefice in passato di successi del calibro di “Lionheart” e “Double Impact” come del più recente, e meno fortunato, “The Order”. “The Hard Corps” (2006) sancisce il primo incontro tra JCVD e il mondo dei rapper. Ancora una volta, però, l’azione latita, Van Damme si concede con eccessiva parsimonia ai suoi vecchi fans e il plot è fin troppo scarno e prevedibile.
Il 2008 potrebbe rivelarsi una buona annata per gli amanti del Van Damme barricato doc: “The Shepherd – Border Patrol”, diretto dallo specialista Isaac Florentine (artefice nel ’97 del wooiano “High Voltage” con Antonio Sabàto padre e figlio e del recente “Undisputed II” con Michael Jai White) e uscito negli Usa il 4 marzo, ha tutte le carte in regola per riavvicinare anche i più scettici e delusi. Girato in Bulgaria ma ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico (insomma…), il film vede Van Damme alle prese con un cartello della droga guidato da ex soldati americani delle forze speciali. Il Nostro, che si aggira per le strade di Columbus e dintorni portandosi appresso una gabbia con un coniglio che si chiama Jack, come lui (!?), ha una missione da compiere e un lutto familiare da vendicare. Niente di nuovo, ma il ritmo è sostenuto, Florentine si conferma un regista da seguire con attenzione e le coreografie dei corpo a corpo minuziosamente elaborate da J. J. “loco” Perry (già artefice di quelle ammirate in “Undisputed II”) sono di prima qualità, due spanne sopra la media di questo genere di pellicole. In Italia uscirà a breve e (quasi) certamente solo in dvd: vandammiani e vandammiane, sieti avvertiti!
Ma il film che potrebbe imprimere una svolta inaspettata alla carriera dell’attore belga è “JCVD”: girato da Mabrouk El Mechri tra Belgio e Lussemburgo, sancisce l’incontro di Van Damme con la commedia virata in dramma e, udite!, metacinema…
Lo spunto è semplice quanto geniale, come spiega Van Damme stesso in questo stralcio d’intervista riportata dal blog cinemanotizie: “E' senza dubbio il ruolo più importante della mia carriera ed il miglior film che abbia mai fatto. Mabrouk El Mechri con questo film ha fatto per me ciò che Martin Scorsese fece con Robert De Niro molti anni or sono; ha scritto una sceneggiatura su Jean-Claude Van Damme, un tossicodipendente arrestato troppe volte negli Stati Uniti che passa dal successo e dalla gloria al fallimento, lascia gli States per tornare a Bruxelles dai suoi genitori, non ha più denaro e cerca di partecipare a qualunque tipo di film per poter pagare gli avvocati e combattere per la custodia dei suoi figli. In seguito il mio personaggio si ritrova in un ufficio postale proprio durante una rapina: la gente pensa che ne faccia parte anche io e da lì ne verrà fuori un film drammatico sulla falsariga di 'Quel pomeriggio di un giorno da cani'. Interpretare me stesso è stata un'esperienza scioccante, quando l'ho visto per la prima volta un paio di settimane fa sono rimasto sconvolto e non sono stato in grado di lavorare per giorni talmente mi sentivo preso ed emozionato. Dopo 37 film penso sia giunta l'ora di non interpretare più pellicole che non mi piacerebbe davvero vedere. Non ho percepito alcun salario per questo film, penso e spero possa cambiarmi la vita”.
Il film è stato presentato al market del Festival di Cannes appena concluso. La speranza adesso è che qualche distributore italiano illuminato lo compri per la diffusione su grande schermo. In Francia JCVD uscirà nelle sale il 4 giugno...
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