IL CREPUSCOLO DEGLI ACTION HEROES DEL SECONDO MILLENNIO
Domanda retorica: al cinema gli action heroes sono forse passati di moda? Logori, stanchi e invecchiati, gli eroi del grande schermo dell’ultimo ventennio sembrano condannati a un lento ma inesorabile oblio, primo passo di un (pre)pensionamento coatto sancito anni or sono dal loro (prematuro?) confino nei territori marchiati DTV (Direct-To-Video). Banditi in modo irreversibile dalle sale cinematografiche, i nostri “eroi” sopravvivono ai confini del mondo scintillante di Hollywood & dintorni, emarginati ma non per questo rassegnati, decisi ad alimentare comunque i sogni, sbiaditi ma sopravvissuti, di quella generazione di spettatori che ricorda, e talora riguarda, film del calibro di “Lionheart” come di “Nico”, di “Caccia mortale” come di “Trappola in alto mare”.
Domanda retorica: al cinema gli action heroes sono forse passati di moda? Logori, stanchi e invecchiati, gli eroi del grande schermo dell’ultimo ventennio sembrano condannati a un lento ma inesorabile oblio, primo passo di un (pre)pensionamento coatto sancito anni or sono dal loro (prematuro?) confino nei territori marchiati DTV (Direct-To-Video). Banditi in modo irreversibile dalle sale cinematografiche, i nostri “eroi” sopravvivono ai confini del mondo scintillante di Hollywood & dintorni, emarginati ma non per questo rassegnati, decisi ad alimentare comunque i sogni, sbiaditi ma sopravvissuti, di quella generazione di spettatori che ricorda, e talora riguarda, film del calibro di “Lionheart” come di “Nico”, di “Caccia mortale” come di “Trappola in alto mare”.
STEVEN SEAGAL
Mister Fat and Furious veleggia ondivago verso le 57 primavere. Nel 2001, per girare “Ferite mortali” del polacco Bartkowiak, ha perso dieci chili: il film, uno degli ultimi ad essere distribuito su grande schermo anche da noi, ha replicato con discreto successo l’estetica dell’hip hop kung fu lanciata l’anno prima da Bartkowiak stesso in “Romeo deve morire”, pellicola interpretata da Jet Li.
Da questo momento in poi, però, la carriera di Seagal è un’ode alla legge di gravità, un TGV lanciato verso l’oblio assoluto. “Ticker” (2001) di Albert Pyun è mediocre; “Infiltrato speciale” (2002) riscuote un inaspettato – e immeritato – successo, assapora anche il buio delle sale, ma Seagal che gioca a fare il “nigga” con bandana e parrucchino a culo d’anatra, sempre più improbabile anno dopo anno, è assolutamente irresistibile, e non nell’accezione che l’attore di Lansing avrebbe desiderato… La parentesi balcanica del 2003-2004 – “The Foreigner” e “Out of Reach” girati in Polonia, “Il vendicatore – Out for a Kill” in Bulgaria – affoga nella mediocrità assoluta, in parte riscattata da “Belly of the Beast”, girato in Thailandia dall’hongkonghese Ching Siu-Tung (quello di “Storie di fantasmi cinesi”…). L’aikido di Seagal mal si sposa con le evoluzioni antigravità made in Hong Kong, ma ritmo e inventiva coreografica traghettano il film verso i lidi di una piena sufficienza. Il 2005 è per Seagal un anno molto prolifico; l’attore americano cala infatti un poker di film: “Into the Sun”, in cui torna sul suolo giapponese; il decoroso “Submerged”, diretto con artigiana diligenza dall’inglese Anthony Hickox, figlio d’arte (suo padre Douglas fu artefice, tra gli altri, di “Oscar insanguinato” e di “Ispettore Brannigan la morte segue la tua ombra”); “Today You Die” del regista e direttore della fotografia Don FauntLeRoy e “Black Dawn”, il più imbarazzante del lotto.
Dei sei (!?) film usciti tra il 2006 e il primo scorcio di 2008, i potabili risultano essere gli ultimi due, “Urban Justice” (2007), ancora di FauntLeRoy, e “Pistol Whipped” (2008), dell’olandese Roel Reiné. Il primo è un vengeance-movie di ambientazione notturna, con un certo gusto per i dettagli e i contrasti cromatici (marchio di fabbrica classico per un direttore della fotografia); il secondo un action più dinamico della media-Seagal, molto stilizzato e con sequenze d’azione ben congegnate (come la resa dei conti finale in un cimitero, con un tripudio di esplosioni in slow motion), pur appesantito da una trama a tratti oscura e involuta, come capita sovente nelle pellicole di Seagal. Il quale medita di tornare dietro la mdp, a 14 anni di distanza da “Sfida tra i ghiacchi”, per “Prince of Pistols”, un progetto che vedrebbe coinvolto nientemeno che il leggendario B.B. King! Sì, perché forse pochi sanno che Seagal è cantante e chitarrista blues di discreto successo, con un paio di dischi all’attivo e un gruppo, i “Mojo Priest”, con il quale gira spesso in tournée.
Mister Fat and Furious veleggia ondivago verso le 57 primavere. Nel 2001, per girare “Ferite mortali” del polacco Bartkowiak, ha perso dieci chili: il film, uno degli ultimi ad essere distribuito su grande schermo anche da noi, ha replicato con discreto successo l’estetica dell’hip hop kung fu lanciata l’anno prima da Bartkowiak stesso in “Romeo deve morire”, pellicola interpretata da Jet Li.
Da questo momento in poi, però, la carriera di Seagal è un’ode alla legge di gravità, un TGV lanciato verso l’oblio assoluto. “Ticker” (2001) di Albert Pyun è mediocre; “Infiltrato speciale” (2002) riscuote un inaspettato – e immeritato – successo, assapora anche il buio delle sale, ma Seagal che gioca a fare il “nigga” con bandana e parrucchino a culo d’anatra, sempre più improbabile anno dopo anno, è assolutamente irresistibile, e non nell’accezione che l’attore di Lansing avrebbe desiderato… La parentesi balcanica del 2003-2004 – “The Foreigner” e “Out of Reach” girati in Polonia, “Il vendicatore – Out for a Kill” in Bulgaria – affoga nella mediocrità assoluta, in parte riscattata da “Belly of the Beast”, girato in Thailandia dall’hongkonghese Ching Siu-Tung (quello di “Storie di fantasmi cinesi”…). L’aikido di Seagal mal si sposa con le evoluzioni antigravità made in Hong Kong, ma ritmo e inventiva coreografica traghettano il film verso i lidi di una piena sufficienza. Il 2005 è per Seagal un anno molto prolifico; l’attore americano cala infatti un poker di film: “Into the Sun”, in cui torna sul suolo giapponese; il decoroso “Submerged”, diretto con artigiana diligenza dall’inglese Anthony Hickox, figlio d’arte (suo padre Douglas fu artefice, tra gli altri, di “Oscar insanguinato” e di “Ispettore Brannigan la morte segue la tua ombra”); “Today You Die” del regista e direttore della fotografia Don FauntLeRoy e “Black Dawn”, il più imbarazzante del lotto.
Dei sei (!?) film usciti tra il 2006 e il primo scorcio di 2008, i potabili risultano essere gli ultimi due, “Urban Justice” (2007), ancora di FauntLeRoy, e “Pistol Whipped” (2008), dell’olandese Roel Reiné. Il primo è un vengeance-movie di ambientazione notturna, con un certo gusto per i dettagli e i contrasti cromatici (marchio di fabbrica classico per un direttore della fotografia); il secondo un action più dinamico della media-Seagal, molto stilizzato e con sequenze d’azione ben congegnate (come la resa dei conti finale in un cimitero, con un tripudio di esplosioni in slow motion), pur appesantito da una trama a tratti oscura e involuta, come capita sovente nelle pellicole di Seagal. Il quale medita di tornare dietro la mdp, a 14 anni di distanza da “Sfida tra i ghiacchi”, per “Prince of Pistols”, un progetto che vedrebbe coinvolto nientemeno che il leggendario B.B. King! Sì, perché forse pochi sanno che Seagal è cantante e chitarrista blues di discreto successo, con un paio di dischi all’attivo e un gruppo, i “Mojo Priest”, con il quale gira spesso in tournée.
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